21 Novembre 2024
Recensioni

Elena V. – utente

Ho letto il libro “Psichiatria da protagonisti” essendo stata una paziente all’interno del settore privato riguardante la salute mentale.

Leggendolo, molte situazioni sono risuonate con quanto ho capito della mia storia, alcune mi hanno aiutato a nominare meglio certi avvenimenti mentre altre ancora le ho trovate idee interessanti e di possibile ponte anche con il settore non pubblico. Questo perché la salute mentale una è e può succedere a tutti e tutte, a diversi livelli, per periodi differenti, di aver bisogno di un aiuto -quello psichiatrico e psicologico- che io ritengo, se bene gestito, di enorme valore.

Oltre che alla mia storia personale, leggendo il libro, mi sono tornati in mente alcuni autori-pensatori che ho avuto la fortuna di studiare: Scabia e Basaglia che con il loro azzurro Marco Cavallo hanno aperto le porte degli Ospedali Psichiatrici, la francese Maison Verte di Dolto nella quale la psicoanalista proponeva che i bambini e le bambine lì seguiti avessero a disposizione un’equipe di professionisti e potessero dire a chi si sentivano parte della loro storia -non necessariamente sempre la stessa persona- e, infine, Romitelli, Professore dell’Università di Bologna, che con il suo gruppo di Etnografia del pensiero cercava di dare parola a quanti definiti “governati”, quanti cioè toccano con mano le situazioni in cui sono e, spesso, anzi, le agiscono e le rendono possibili con infinite risorse di pensieri e conoscenze, ma non hanno, su di esse, il potere decisionale.

Non intendo, con questo, svalutare o non dare al valore al lavoro e alle competenze di professionisti che hanno studiato e lavorato per anni, ma ritengo che il libro sottolinei la necessaria importanza del dialogo tra le parti che si trovano coinvolte in situazioni nella quali la salute mentale è posta al centro. Tanti ne parlano, della salute mentale, anche a livello economico, rispetto a un vantaggio generale per il nostro stato e a potenziali altre spese mediche che verrebbero diminuite, ma la situazione ritengo sia ancora complessa e una riflessione su di essa, quindi, fondamentale.

Considererò, quindi, quanto mi ha più toccato e appassionato del libro.

Il Piano d’azione europeo per la salute mentale dell’OMS 2013-2020 che riconosce i pazienti e le loro famiglie “co-produttori” dei Servizi di cui usufruiscono, atto che ritengo legarsi in maniera inscindibile con l’essere, da parte del paziente, e il dover e poter essere sempre un cittadino di uno stato, con diritti, doveri e risorse.

Questi pensieri mi sembra portino le considerazioni politiche imprescindibili del libro: fare educazione sul territorio, che io amplierei -forse in maniera utopica- a tutta l’Italia, per avere “cittadini sentinella non imbarazzati dalla fragilità”, così benissimo e bellissimo scritto, capaci di intercettare i primi segni di possibili difficoltà, per non emarginare -nel lavoro e nelle relazioni- chi ha un momento di fatica o una debolezza. Io sono stata due anni quasi assente per chi conoscevo e solo le due persone a me più care mi hanno sempre chiamata, cercata e sostenuta. A quanti non ci sono stati, per molteplici motivi, vorrei dire che siamo tutti forti e fragili, magari in modo diverso. La “psicoeducazione” nella famiglia, perché il problema non si ingigantisca. Non riesco a non far coincidere con questa riflessione quella, molto precisa nel libro, sulla “violenza”. Una violenza che io chiamerei involontaria che può scoppiare quando si vede qualcuno che si ama stare male, una violenza nei confronti del paziente da parte di Servizi -nessuno toglie che la Sanità sia in difficoltà, per vari motivi- non chiari nelle spiegazioni, con diagnosi non dette, con effetti collaterali dei farmaci non comunicati, con tempi stringenti, con sovraccarichi lavorativi, che, però, vanno a cadere a catena gli uni sugli altri. Se la malattia mentale “non è un reato”, e non lo è, mi piace che il libro parli di liberazione da inutili, a mio avviso, “giochi o interpretazioni vittima-carnefice e sensi di colpa”, profondamente presenti in questo campo, tra tutti.

Ritengo la proposta del grimaldello della “conoscenza”, filo rosso del libro, ormai non più opinabile. Per il paziente, per la sua aderenza alle cure e per eliminare quell’ “autostigma” che la persona si trova a vivere e sentire rispetto alla propria condizione, amalgamandosi, non in maniera positiva, con la malattia e finendoci, inconsciamente, ad appartenere.

Fondamentale, mi sembra, quanto viene detto rispetto al medico di base-di famiglia, che non può tirarsi indietro rispetto al suo essere “filtro” per la gravità delle situazioni e “coordinatore” rispetto ad eventuali somministrazioni di diversi farmaci contemporaneamente. Questo aspetto mi tocca nel personale e nel profondo. Se le persone attorno a me fossero state più consapevoli, la mia sofferenza sarebbe durata molto meno e molte incomprensioni risolte.

Mi è sembrata un’innovazione straordinaria l’istituzione de “l’Esperto in Supporto tra Pari o Utente Familiare Esperto” per chi se la sente, come quella dei vari Gruppi di riflessione, relazione e “reciproco controllo”, dove per controllo non intendo puntare il dito verso eventuali, umani e possibili errori o incomprensioni ma possibilità di un pensiero più ampio e sfaccettato, che allevierebbe quanti interconnessi. Le crisi o i momenti di difficoltà non hanno orari e giorni della settimana, ferie o congedi e le fragilità individuali sono talmente proteiformi che avere la possibilità della presenza di qualcuno/a che conosce da dentro cosa può significare, seppur diversamente, ed è presente, nel momento in cui i Servizi non sono attivi o sono oberati, la trovo rivoluzionaria. Persone reali che ci sono quando c’è bisogno che ci sia un essere umano a fianco. Quando le famiglie sono stanche, quando i medici vanno in vacanza, per chi non davvero nessuno, per chi ha delle persone ma ha bisogno che ci sia qualcun altro/a.

La citazione di Borgna presente nel libro, quella che sostiene che “la psichiatria è soprattutto gentilezza” mi sembra irrinunciabile e, dopo quanto ho sentito dire da altri sulla mia storia personale, un regalo. Molto spesso, con i miei attuali curanti, che mi hanno ascoltato e capito, ripeto una frase di De Andrè che solo ora ho capito: “il dolore degli altri è dolore a metà”. Dolore che, a mio parere, può essere dipanato con la convergenza di quanto ho letto in questo libro: conoscenza, comunità, responsabilità, presenza e Stato.

Elena V. – utente

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *