L’operatore ideale
Non è affatto difficile per me descrivere i tratti caratteristici dell’operatore ideale, perché io quell’operatore l’ho conosciuto di persona, si chiama Pio.
Ricordo che quando si è affiancato a mio fratello ci aveva sin da subito rincuorati entrambi, ora che è andato in pensione ci ha lasciato invece un’immensa nostalgia.
Erano soltanto due ore alla settimana, il martedì, ma da molti anni ormai quell’appuntamento scandiva al pari di una benefica terapia le nostre esistenze.
Con lui il fratello aveva trovato un’intesa che non avrei mai immaginato potesse sussistere, dopo alcune sfortunate esperienze precedenti.
Si piacevano e si divertivano insieme.
Pio sapeva troppo bene come prenderlo, sempre paziente, sorridente, propositivo.
A me riservava parole rassicuranti a sottolinearne i progressi, le abilità residue che la malattia non era ancora riuscita a scalfire.
In quelle due ore accadevano piccole e grandi cose: li vedevo riordinare insieme la casa, esercitarsi in piccoli lavori di manutenzione, scambiare qualche parola con i vicini, fare la spesa al supermercato, acquistare un paio di scarpe o qualche utile accessorio, fare una gita fuori porta; talvolta lo accompagnava ad un appuntamento importante o al centro di salute mentale ad assumere la terapia per andare poi insieme a bersi un caffè al ritrovo preferito: l’attrezzato bar sulla tangenziale (un luogo scelto non a caso: apertura 24 ore su 24 e la soddisfazione di sentirsi trattato da cliente).
C’era autentica umanità, un rapporto amicale nel quale mio fratello si sentiva rispettato, compreso, stimolato all’azione e non considerato o giudicato soltanto per la sua patologia.
Pio impersonava alla perfezione i connotati dell’operatore che tutti vorrebbero avere: passione smisurata per il proprio lavoro, esperienza maturata sul campo anche nei contesti più difficili, empatia naturale, ottimismo contagioso, senso del dovere, responsabilità.
Ma soprattutto dimostrava d’essere se stesso, aspetto fondamentale per costruire una relazione vera e duratura.
La grande stima che nutrivo per quell’operatore territoriale che aveva saputo migliorare così tanto la qualità delle nostre vite si accompagnava però ad un unico grande rammarico: che il suo ruolo nel percorso di cura di una malattia altamente invalidante non fosse valorizzato a sufficienza, ma relegato in basso nella scala gerarchica che vede sovente primeggiare l’azione degli psichiatri, fino a rischiare di minarne le motivazioni interiori.
Queste poche righe non riusciranno forse a cambiare le cose, ma il merito, quando c’è, è giusto che venga riconosciuto. Anche da un familiare se altrove si guarda in altre direzioni.
E sono certo essere questa per Pio e per tutti gli altri operatori meritevoli la soddisfazione più grande.